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I programmi di (none)

Il Trovatore

Spirito cavalleresco, sentimenti primitivi, tono collerico per l’opera più amata del tempo di Verdi


















E’ stata l’opera più amata del tempo di Verdi, con dentro quella tensione irrazionale e istintiva che non si allenta mai. Prima esecuzione assoluta: Roma,Teatro Apollo, 19 gennaio 1853.

Spirito cavalleresco, sentimenti primitivi, tono collerico. Un drammone spagnolo di onore, indignazione e integralismo passionale. Ma anche opera notturna, lunare, la cui simbologia portante è il fuoco: dei roghi, dell’odio. In un libretto “irraccontabile”, il protagonista - eroe romantico sfortunato in guerra e fortunato in amore - impersona gli ideali trovadorici dell’amor cortese. Amore e odio convivono aggrovigliati: Manrico ama Leonora e odia il Conte; il Conte ama Leonora e odia Manrico; Azucena ama Manrico e odia il Conte. Ma il desiderio di vendetta è tale in Azucena, che la porta a lasciare uccidere l’unico essere che ama e da cui è riamata. L’opera-dilemma dell’amor materno e dell’amor figliale viene riproposto nell’allestimento classico con regia di Hugo De Ana, visto nel 2001, per il centenario della morte di Verdi. Protagonisti: una delle più grandi voci italiane, il soprano Maria Agresta, che ha ottenuto uno straordinario successo in Oberto conte di San Bonifacio nella scorsa Stagione. Dirige Daniele Rustioni, un giovanissimo che sta entrando nel cuore del teatro.
 
 
Dal Teatro alla Scala di Milano 
Dramma in quattro parti
Libretto di Salvatore Cammarano
Musica di Giuseppe Verdi 
 
 
Direttore DANIELE RUSTIONI
Regia, scene e costumi HUGO DE ANA                                                                      
Luci MARCO FILIBECK
Maestro d’armi Renzo Musumeci Greco
Regia televisiva PATRIZIA CARMINE
 
Personaggi e interpreti
Il Conte di Luna  FRANCO VASSALLO baritono
Leonora MARIA AGRESTA soprano
Azucena EKATERINA SEMENCHUK mezzosoprano
Manrico MARCELO ÁLVAREZ tenore
Ferrando KWANGCHUL YOUN basso
Ines MARZIA CASTELLINI soprano
Ruiz ANTONIO CORIANÒ tenore
Un vecchio zingaro ERNESTO PANARIELLO basso
Un messo GIUSEPPE BELLANCA tenore
 
 
Atto primo
Parte prima (Il duello)
Atrio nel palazzo dell’Aliaferia
Ferrando, capitano degli armigeri del Conte di Luna, attende l’arrivo del suo signore, che tarda a tornare perché sorveglia nottetempo, geloso, la donna amata alla quale un misterioso trovatore rivolge le sue attenzioni (introduzione “All’erta, all’erta!”). Invitato dai presenti, Ferrando narra loro la storia del fratello del Conte. Il vecchio Conte di Luna aveva due figli (“Di due figli vivea padre beato”); accanto alla culla del minore la nutrice aveva trovato, una mattina, una zingara, che era stata immediatamente cacciata.Ma il bimbo, evidentemente stregato, aveva iniziato a deperire: la zingara era stata allora condannata al rogo e arsa. La figlia di costei, per vendicarsi, aveva rapito il bambino; in seguito erano stati trovati, sul luogo stesso del rogo, i resti di un bimbo bruciato. Il vecchio Conte era morto pochi giorni dopo, facendosi promettere dal figlio maggiore che avrebbe comunque continuato le ricerche del fratello. Suona intanto la mezzanotte. Giardini del palazzo. Leonora, dama di compagnia della principessa d’Aragona, confida a Ines d’essersi innamorata di uno sconosciuto cavaliere (scena e cavatina “Tacea la notte placida”). Questi era apparso, incognito, ai tornei; poi Leonora l’aveva sentito cantare, una notte, sotto le sue finestre accompagnandosi col liuto e pronunciando il suo nome.Da allora non riesce a dimenticarlo e sente che i loro destini sono legati per sempre. Giunge il Conte di Luna, che vorrebbe dichiarare alla dama il suo amore; ma è interrotto dagli accordi di un liuto, sui quali un trovatore intona la sua canzone d’amore (scena e romanza “Deserto sulla terra”). Leonora discende e sta per gettarsi tra le braccia del Conte, che ha scambiato per l’amato; ma accortasi dell’errore, dichiara al trovatore di non amare altri che lui (terzetto “Qual voce!...Ah! dalle tenebre”). Quando il Conte di Luna, furente, gli chiede di svelarsi, l’ignoto giovane dichiara di chiamarsi Manrico. In lui il Conte riconosce un seguace del principe ribelle Urgel e lo sfida a duello. Nonostante le preghiere di Leonora, i due si allontanano per battersi.
 
 
Atto secondo
Parte seconda (La gitana)
Accampamento di zingari
Sul finir della notte alcuni zingari, nel loro accampamento, lavorano(coro “Vedi, le fosche notturne spoglie”).Accanto al fuoco la zingara Azucena inizia a cantare, attirando l’attenzione generale: il fuoco le ricorda il rogo della madre, morta invocando vendetta (canzone “Stride la vampa!”).Gli zingari scendono a valle e Azucena,rimasta sola col figlio Manrico, gli racconta la storia appena accennata: si tratta della nonna,fatta condannare e ardere dal vecchio Conte di Luna (scena e racconto “Condotta ell’era inceppi”). Azucena narra anche d’aver rapito per vendetta uno dei figli del Conte, d’averlo bruciato sul luogo del supplizio ma d’essersi accorta d’aver ucciso, nel delirio, non il bimbo rapito bensì il suo stesso figlio. Allo stupore di Manrico, Azucena lo tranquillizza, sostenendo che i tristi ricordi la fanno uscire di senno. Si fa poi promettere dal figlio – che già aveva incontrato Luna in battaglia, ma gli aveva risparmiato la vita perché aveva avvertito una misteriosa forza celeste – che non avrà più alcuna pietà del Conte (scena e duetto “Mal reggendo all’aspro assalto”). Un messo chiama Manrico alla difesa del fortilizio di Castellor,appena conquistato, e gli comunica che Leonora sta per prendere i voti, credendolo morto.Manrico, nonostante la preoccupazione della madre, parte immediatamente.
 
Luogo di ritiro in vicinanza di Castellor
Il Conte di Luna, che non si rassegna alla perdita di Leonora, si prepara con i suoi a rapirla (scena e aria “Il balen del suo sorriso”). Preceduta da un coro di religiose (“Ah! se l’error t’ingombra”), compare Leonora, che si appresta a prendere il velo. Il Conte di Luna interviene per rapirla,ma fra lui e la fanciulla si intromette, inaspettato, Manrico. Lo stupore generale(concertato “E deggio e posso crederlo?”) è rotto dall’arrivo di Ruiz e dei seguaci di Urgel,che traggono in salvo Manrico e Leonora.
 
 
Atto terzo
Parte terza (Il figlio della zingara)
Accampamento nelle vicinanze di Castellor
I soldati del Conte di Luna, accampati in vista di Castellor, giocano a carte e cantano (coro “Orco’ dadi, ma fra poco”); Ferrando annuncia loro che l’indomani attaccheranno il fortilizio. Il Conte di Luna è deciso a strappare Leonora all’odiato Manrico, ma un tumulto lo distrae dai suoi propositi: nel campo è stata trovata una zingara, che gli viene condotta innanzi. Si tratta di Azucena, nella quale Ferrando crede di riconoscere la zingara che un tempo rapì il bambino (scena e terzetto “Giorni poveri vivea”). Se ne convince quando la vede impaurirsi al nome del Conte di Luna, che la fa arrestare. Quando Azucena invoca il nome di Manrico, il Conte infierisce ancor più; gli astanti reclamano il rogo.
 
Sala del palazzo
Manrico informa Leonora che l’indomani ci sarà battaglia e dà disposizioni a Ruiz per la difesa. I due amanti, al suono dell’organo, si accingono al rito nuziale(scena e cantabile “Ah sì, ben mio”), quando Ruiz accorre e mostra a Manrico la pira sulla quale sta per essere arsa Azucena. Manrico, in preda al massimo furore (cabaletta “Di quella pira”), lascia la fidanzata per accorrere in soccorso della madre.
 
 
Atto quarto
Parte quarta (Il supplizio)
Nei pressi del palazzo dell’Aliaferia
Leonora,condotta da Ruiz, giunge al luogo che rinchiude Manrico prigioniero. Guarda un anello che porta sulla destra e pensa all’amato (scena e cantabile “D’amor sull’ali rosee”), quando al suo orecchio giungono il canto del Miserere e la voce di Manrico, che sta per morire e le chiede di non dimenticarlo. Leonora dichiara che il suo destino sarà per sempre legato al suo (cabaletta “Tu vedrai che amore in terra”). Quando vede uscire da una porta il Conte e dare gli ordini per l’esecuzione, gli si avvicina e gli promette il proprio corpo in cambio della salvezza di Manrico (scena e duetto “Qual voce!...>come!... tu donna?”). Leonora beve segretamente il veleno racchiuso nell’anello.
 
Carcere
Manrico è seduto accanto alla madre,stesa su un giaciglio (finale ultimo “Madre...non dormi?”). Nel delirio, la zingara rivede il rogo della madre, ma il figlio la calma, facendola addormentare nel ricordo della pace dei loro monti (“Ai nostri monti... ritorneremo!”). Compare Leonora, che invita Manrico a fuggire senza tuttavia poterlo seguire. Quando questi conosce il prezzo della sua libertà, inveisce contro Leonora (concertato “Parlar non vuoi!... Balen tremendo!”);ma si ricrede quando apprende che la fanciulla si è avvelenata per non essere di nessun altro, e la vede morire. Il Conte ordina che Manrico sia giustiziato. Solo allora apprende, da Azucena, con orrore,di aver mandato a morte il proprio fratello: la vendetta della zingara è compiuta.

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